Amnesia: A Machine for Pigs

La scelta di Frictional Games di affidare Amnesia: A Machine for Pigs a un altro sviluppatore poteva sembrare un po’ azzardata. Perché cambiare la formula di un titolo tanto fortunato per vendite e popolarità? Tuttavia, l’operazione ha un po’ il sapore del passaggio di consegne, come quando un regista famoso affida a un altro illustre collega il suo pupillo, nella speranza che gli trovi una nuova prospettiva tramite un taglio fresco e creativamente innovativo.

Nella fattispecie, Frictional ha affidato lo sviluppo del seguito di Amnesia a thechineseroom, creatori dell’avventura narrativa in prima persona Dear Esther. Inevitabilmente, molto di quest’ultima esperienza è confluito in Amnesia, che si propone quindi come percorso sì spaventoso, ma che ha lo scopo di raccontare una storia, oltre a farvi morire d’infarto nel processo. Il setting è particolare ed evocativo: come suggerisce il titolo, ci troviamo all’alba dell’era dell’industrializzazione.
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I pochi e sparsi brandelli di indizi concessi al giocatore saranno comunicati attraverso il classico espediente dei documenti lasciati in giro per i livelli.

In maniera simile a Dear Esther, anche A Machine for Pigs è una storia che lavora di sottrazione, lasciando molte domande avvolte da una nebbia di mistero. La vicenda ha luogo nel 1899, la sera di Capodanno, e interpretiamo il magnate industriale inglese Oswald Mandus. L’esperienza ha inizio all’interno di una magione londinese, dove ci risvegliamo senza memoria di quello che è successo nei mesi precedenti. Esplorando questo luogo, il protagonista andrà alla ricerca delle sue memorie, con la sensazione crescente che qualcosa sia andato terribilmente storto. Oltre ai classici e terrificanti momenti dove un nemico apparirà all’improvviso, facendoci saltare sulla sedia, A Machine for Pigs crea tensione nel giocatore lasciandolo solo e sperduto in mezzo a un mistero del quale non conosce l’identità. La ricerca della verità su quello che è successo, e sul destino dei due figli gemelli del protagonista, sarà sufficiente per condurvi fino alla fine di questo oscuro tunnel.
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Oltre ai classici e terrificanti momenti dove un nemico apparirà all’improvviso, facendoci saltare sulla sedia.

I pochi e sparsi brandelli di indizi concessi al giocatore saranno comunicati attraverso il classico espediente dei documenti lasciati in giro per i livelli, in maniera simile a quello che accade in Bioshock e nello stesso Dear Esther, per intenderci. Il giocatore viene lasciato così volutamente disorientato, chiamato a raccapezzarsi attraverso segni ed eventi che non sembrano avere alcun apparente collegamento tra di loro. Una forte nota di merito va attribuita alle lettere che troverete in giro, scritti deliranti che spesso e volentieri si riveleranno ancora più terrificanti delle creature che abitano i livelli. Non solo, Mandus terrà un diario di quello che succede proseguendo di stanza in stanza, dove racconterà il suo stato d’animo trascinandoci nel flusso di una coscienza fortemente agitata.
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Barocca anche la colonna sonora, ridondante e in certi momenti persino sguaiata, perfettamente in linea con la morbosa vicenda raccontata.

Insomma, la scrittura è di altissima qualità e regna sovrana in una simile esperienza. Leggere i documenti è fondamentale per avere una visione completa di quello che sta succedendo, anche a costo di spenderci del tempo. A Machine for Pigs è infatti un gioco da vivere con un particolare stato d’animo, senza lasciarvi prendere dalla fretta di sapere la verità, ma piuttosto lasciandovi conquistare lentamente dal suo fascino oscuro. Qualcosa di molto simile a leggere un libro del maestro dell’orrore H.P. Lovecraft, per intenderci. La scrittura lavora però in collaborazione con la sontuosità del setting, inquietanti visioni industriali in stile barocco. Barocca anche la colonna sonora, ridondante e in certi momenti persino sguaiata, perfettamente in linea con la morbosa vicenda raccontata. In definitiva, il gioco punta maggiormente a coinvolgere il giocatore, piuttosto che spaventarlo. Enigmi e difficoltà sono ridotte all’osso, e anche il classico meccanismo del primo episodio basato sull’alternarsi di luci e ombre è stato abbandonato.

I fan più integralisti sono avvertiti: quella che si troveranno è un’esperienza, piuttosto che un gioco, e molto diversa da The Dark Descent, per giunta. Se A Machine for Pigs non recupera le meccaniche del gioco precedente, ne interpreta in maniera assolutamente originale lo spirito, aggiungendo un nuovo memorabile tassello a quell’inquietante mosaico chiamato Amnesia.

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