Devil’s Third – la recensione

Valutare un gioco come Devil’s Third non è sicuramente un’impresa facile. Stiamo parlando, è bene anticiparlo, di un titolo dallo sviluppo fortemente travagliato. E, come spesso succede in questi casi, le varie peripezie che ha dovuto attraversare non hanno affatto giovato alla resa del prodotto definitivo. Togliamoci quindi subito il dente: Devil’s Third è un gioco che non riesce nemmeno a sfruttare appieno l’hardware del Wii U. Ha un frame rate che cala a picco fragorosamente e la resa visiva è, generalmente, ben poco appagante. Nonostante siano stati entrambi pubblicati da Nintendo, siamo lontani anni luce, quindi, da Bayonetta 2 e dal suo livello di rifinitura maniacale. Se possiamo passare sopra all’aspetto visivo, ben più difficile è invece giustificare il frame rate, soprattutto in un gioco che fa del combattimento frenetico il suo cavallo di battaglia. Eppure… eppure c’è qualcosa che rende magnetico questo gioco. Difficile scindere l’opera dal suo creatore, il controverso Tomonobu Itagaki, che ha difeso a spada tratta il suo gioco su Twitter, invitando le persone a giocarlo con il controller piuttosto che con il Game Pad di Nintendo. Parole forti ma, in effetti, il sistema di combattimento si presta molto più a un classic controller.
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Ogni pixel sfoggia l’attitudine sfrontata e rissosa di Itagaki.

C’è qualcosa che manca in tanti, troppi giochi, e quella cosa è il carattere e, nonostante tutti i suoi difetti, nessuno può accusare Devil’s Third di essere deficitario sotto questo aspetto. Credo che ci sia un grosso vuoto nei videogiochi, ossia la mancanza di un genere volutamente trash e sopra le righe. Credo che, come i lavori di Suda 51, anche Devil’s Third di Itagaki incarni lo spirito dei film trash, quelli osteggiati un tempo ma rivalutati oggi. Personalmente, a un gioco perfetto ma privo di un’anima, preferisco un gioco imperfetto ma che riesca a comunicarmi qualcosa.

Se ci si dovesse fermare all’aspetto tecnico di Devil’s Third, il gioco sarebbe spacciato.

E la “spacconeria” di Devil’s Third è riuscita a conquistarmi, soprattutto quando incarnata dal protagonista; Ivan, una sorta di alter-ego digitale di Itagaki, Ivan è un prigioniero russo di Guantanamo, tutto tatuato e che non si separa mai dai suoi occhiali da sole. Basti dire che nella prima scena, in cui evade dalla prigione, lo vediamo intento a suonare la batteria, come se nulla fosse.
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Ogni pixel sfoggia l’attitudine sfrontata e rissosa di Itagaki. Il sistema di combattimento è volutamente grezzo, sperimentale: con X e Y si attacca, con B si si salta mentre con L si parano i colpi avversari; con L e l’analogico, invece, si eseguiranno delle schivate. Il setup è piuttosto semplice, più accessibile rispetto a Ninja Gaiden, ma intenso e viscerale. Soprattutto quando viene accompagnato dalle mosse finali di Ivan, come per esempio quando fa ingoiare una granata al suo avversario per farlo esplodere. Anche la selezione delle armi rispecchia la natura sopra le righe del gioco: Ivan potrà infatti attaccare con una katana, ma anche con un martello o un tomahawk.
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La semplicità del combat system melee è necessaria in quanto il gioco è, in realtà, un ibrido tra action e FPS. Premendo ZR passerete infatti alla modalità mira, e la visuale si sposterà in prima persona. Devo dire che la commistione di queste due tipologie di combattimento è originale e, all’atto pratico, funziona bene. La gestione delle armi da fuoco non è tra le più precise, ma la natura grezza del sistema di combattimento rende la sfida interessante.

La mano di Itagaki c’è e si vede, e si può dire di tutto a questo gioco, ma non che non abbia un’anima.

Mi ha ricordato per certi versi Kid Icarus: Uprising: un sistema scomodo e che apparentemente viola le regole del buon design, ma che allo stesso tempo, se viene padroneggiato, è in grado di regalare grandi soddisfazioni. Le scomode dichiarazioni di Itagaki sulla mancanza di abilità con il pad da parte dei giornalisti sono in parte vere: a differenza di tanti giochi che vi accompagnano con la manina, Devil’s Third vi punisce brutalmente.
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Se ci si dovesse fermare all’aspetto tecnico di Devil’s Third, il gioco sarebbe spacciato. È un prodotto che, nonostante il lungo ciclo di sviluppo, aveva bisogno di molto più tempo per essere completato. È pieno di difetti, è tutt’altro che bello da vedere e non ha la pulizia dei giochi che ci aspetteremmo di vedere pubblicati da Nintendo. Per questo, il voto che prende non può elevarsi sopra la sufficienza risicata. Ma la mano di Itagaki c’è e si vede, e si può dire di tutto a questo gioco, ma non che non abbia un’anima. Starà a voi cercarla, gemma nascosta tra le pieghe di un’imperfezione a tratti persino insolente. Un gioco che fa arrabbiare, per quello che sarebbe potuto essere, ma che saprà stupirvi se siete disposti a dargli un po’ d’amore.

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