Fairy Fencer F – la recensione

Fairy Fencer F vi proietta nel mezzo di una guerra fra bene e male, la quale sta per riesplodere dopo millenni di quiete forzata, con effetti che potete facilmente prevedere. All’alba dei tempi, infatti, la dea della pace entra in una furiosa battaglia che la contrappone al dio del male; nello scontro i due si trafiggono con decine di spade dall’immenso potere, che li condannano a restare sigillati nella pietra in un limbo spazio-temporale. Nemmeno le divinità, però, sono dotate di mira infallibile, e molte delle spade lanciate nello scontro finiscono con il disperdersi sul pianeta degli umani. Nei tempi moderni, in cui la narrazione è ambientata, queste armi vengono definite Furies, e coloro che le utilizzano si riconoscono dall’appellativo di Fencers. Non è tutto, perché all’interno delle spade si cela uno spirito chiamato Fairy, che si legherà indissolubilmente alla figura ritenuta degna di impugnare le lame leggendarie.
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All’interno delle spade si cela uno spirito chiamato Fairy, che si legherà indissolubilmente alla figura ritenuta degna di impugnare le lame leggendarie.

A questo punto entriamo nei panni di Fang, un ragazzo che, in pieno stile “Spada nella Roccia”, incapperà in Eryn, spirito generato dall’arma di cui il protagonista diventerà immancabilmente proprietario. La missione dei due prevederà la raccolta di tutte e cento le spade leggendarie sparse per il globo, grazie al quale si potrà scegliere se liberare la dea della pace o il dio del male, con annesse conseguenze a seconda della strada intrapresa, un punto a favore dell’opera imbastita dal team giapponese.
In generale, Compile Heart non si è comunque discostata dalle strade intraprese in passato. Fairy Fencer F basa ogni suo elemento narrativo su archetipi specifici ben riconoscibili: lo stereotipo tipico della cultura giapponese non mancherà in nessun frangente, e spesso sarà condito da uno stridente fan-service gettato nella mischia per garantirsi una fetta di devoti di manga, anime e JRPG. Dal ragazzetto pigro, affamato, pieno di sé e stanco della vita, alla maid dal fare altezzoso con mire di comando, nessuna casella della lista rimarrà vuota, nemmeno quella delle donne che si ritrovano semi-nude per motivi piuttosto inesistenti.
Data una certa mancanza di sostanza e innovazione nella storia, potrete appellarvi solo alla caratterizzazione dei personaggi i quali, come accennato, pur poggiando le basi su stereotipi triti e ritriti, riescono poi ad evolvere nel tempo lasciando spazio a spunti interessanti, e svelando se stessi tramite gli ovvi segreti che ognuno di esso nasconde.
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La maggior parte dei combattimenti sono davvero semplici da portare a termine, e non richiedono altro che un paio di pressioni del tasto X.

Le grandi rivelazioni del titolo saranno accompagnate costantemente da quel fare satirico/comico di cui Compile Heart non ha voluto liberarsi nemmeno questa volta. Non si è persa occasione per inserire battute di ogni tipo nei dialoghi, e in generale questa tendenza viene portata avanti fra alti e bassi. Se in certi punti il gioco sa creare situazioni davvero divertenti, in altri, infatti, tende a tornare sugli stessi espedienti rendendoli poi prevedibili e noiosi, come nel caso della fame smodata del protagonista.

Lo stereotipo tipico della cultura giapponese non mancherà in nessun frangente, e spesso sarà condito da uno stridente fan-service gettato nella mischia per garantirsi una fetta di devoti di manga.

Il gioco, comunque, si può tranquillamente dividere in fasi separate. La prima, con struttura tipica delle avventure interattive giapponesi, consiste in una serie di menu da cui acquistare oggetti, dialogare con i personaggi e interagire con la mappa del mondo. In questa sezione ogni scenario è composto da tavole, su cui i modelli dei personaggi inscenano i vari eventi di gioco. Specialmente durante le prime fasi, questa scelta di design, sicuramente forzata da un budget di produzione tutt’altro che alto, tende ad appesantire la progressione narrativa a causa dei numerosi wall of text in cui vi imbatterete. Sempre la mancanza di fondi, ha reso immediatamente riconoscibili le illustrazioni realizzate da Yoshitaka Amano; esse infatti si discostano nettamente, per qualità, da quelle del resto del team, che risultano sempre molto generiche e poco ispirate.
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La seconda fase consiste, invece, nel cuore del titolo: combattimento e progressione. Una volta scovati gli obiettivi, infatti, dovrete avventurarvi nei dungeon per raggiungere le Furies da ottenere. Il sistema messo in piedi da Compile Heart non si discosta minimamente da quanto fatto con Hyperdimension Neptunia: una volta che avrete deciso di entrare in battaglia, vi ritroverete su un campo tridimensionale su cui camminare a piacimento entro i limiti imposti dal vostro raggio d’azione. In questo modo, avrete libertà di scegliere chi attaccare e come, magari sfruttando un angolo cieco per alzare il potere d’attacco.

Le grandi rivelazioni del titolo saranno accompagnate costantemente da quel fare satirico/comico di cui Compile Heart non ha voluto liberarsi nemmeno questa volta.

La progressione del personaggio, resta, comunque, la parte meglio studiata dell’intera opera. A ogni scontro guadagnerete dei Weapon Boost da utilizzare per potenziare varie statistiche della vostra arma, e per aggiungere nuove tipologie di combo alla catena d’attacco. Questo vi garantirà totale libertà di scelta sul tipo di combattente che vorrete creare, raffinata dalla possibilità di legare alla vostra arma una seconda Fairy, la quale aggiungerà modificatori d’attacco e difesa che andranno a supportare la base già creata.
Mandare a segno la quantità giusta di colpi, poi, vi permetterà di riempire una barra al cui culmine scatenerete la modalità Fairize, espressione massima del potere delle Fairy. In un misto fra evocazione e fanservice, una cutscene alla Power Rangers vi trasformerà in un combattente formidabile aumentando in maniera smisurata l’attacco dell’arma, con tanto di abilità magiche devastanti utilizzabili solo in questo particolare momento dello scontro.
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Il motore grafico si abbandona spesso a vistosi cali di frame-rate, mentre il level design dei dungeon è spoglio, anonimo e poco ispirato.

Parliamo di un pilastro fondamentale del titolo, quindi, che purtroppo non viene sostenuto dal resto, specialmente quando ci si rende conto che la maggior parte dei combattimenti sono davvero semplici da portare a termine, e non richiedono altro che un paio di pressioni del tasto X. Questo status è anche aggravato dal continuo ricorso al backtracking operato dal gioco, il quale ricicla puntualmente ambienti e nemici non solo per le semplicissime quest secondarie, ma anche per una buona porzione della campagna. La scarsa presenza di loot, poi, forza spesso dei cicli di grinding che a un livello di difficoltà così basso non risultano un buon intrattenimento.
Il tutto è accompagnato da un comparto tecnico oramai obsoleto. Il motore grafico, infatti, si abbandona spesso a vistosi cali di frame-rate, mentre il level design dei dungeon è spoglio, anonimo e poco ispirato, con immense stanze vuote che agiscono da contenitori di mostri, tutti molto simili fra loro e dotati di abilità quasi identiche.
Fairy Fencer F è, in parole povere, uno di quei titoli che solo i completisti, o gli amanti della cultura giapponese e dei JRPG, sapranno apprezzare fino in fondo senza remore. Nonostante le basi per un prodotto di buon livello ci siano, non è possibile impugnare il pad ignorando completamente i difetti che macchiano l’ultima produzione di Compile Heart, a cui auguriamo, comunque, di riuscire a innovare con il sequel annunciato per il 2015 su PlayStation 4.

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