SpecialEffect: il progetto per consentire di videogiocare anche in caso di disabilità

Ancora una volta la tecnologia si mette al servizio delle persone più svantaggiate e, negli ultimi anni, stanno fortunatamente diventando sempre più numerose le soluzioni che consentono ai diversamente abili di mantenere uno stile di vita attivo. Ad esempio sono moltissimi gli strumenti in grado di fornire supporto a persone colpite da disabilità totali o quasi che, grazie a computer e software creati ad hoc, possono finalmente contare su un sistema di comunicazione efficiente.

La situazione generale rispetto al passato si è evoluta moltissimo, ma non è ancora frequente sentir parlare di bisogni considerati superficialmente da molti come “secondari”; in realtà, anche se è normale pensare prima di tutto a come consentire a una persona di restare in vita il più possibile e comunicare, lo svago e il divertimento dovrebbero essere poco oltre nella gerarchia dei bisogni. Le persone che soffrono di invalidità sono moltissime e spesso faticano ad adattarsi a un mondo pensato per chi non ha le loro esigenze, pensato per chi muove senza problemi braccia e gambe, ad esempio; ed è proprio il caso dei videogiochi: dedicati principalmente al grande pubblico, difficilmente si sente parlare di titoli giocabili da persone che non possono contare su una completa mobilità degli arti o di tutto il corpo… ma per fortuna qualcuno ha iniziato a pensarci! Si tratta della compagnia chiamata SpecialEffect, composta da uno staff di persone che hanno deciso di dedicarsi alle esigenze (non solo fisiologiche) di chi soffre di disabilità.
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Uno degli obiettivi di SpecialEffect e del fondatore Mick Donegan è quello di ideare e costruire un sistema di controlli adattabile alle condizioni di disabilità, in modo da consentire a tutti di giocare con i videogiochi. La difficoltà più grande è forse l’adattabilità, poiché le disabilità possono essere molto variabili, ma nel caso di Lee (il giovane protagonista della prima storia) i controlli speciali hanno fatto la differenza.

Come potete vedere nel primo video che trovata in calce all’articolo Lee è un ragazzo che soffre di atrofia muscolare spinale, una malattia degenerativa che causa la progressiva perdita delle capacità di movimento. Lee racconta di essere sempre stato un videogiocatore, e di come sia entrato in depressione nel momento in cui la sua malattia è diventata un ostacolo anche per questa sua passione. Grazie al progetto Lee è stato in grado di riapprocciarsi al mondo dei videogiochi, alimentando la socialità e vivendo esperienze che normalmente non può avere come giocare a calcio con il fratello o guidare un’automobile. Lee racconta anche di come sia stato speciale per lui poter giocare GTA 5 al momento della pubblicazione, perché non avrebbe mai pensato di poterlo fare nella sua condizione.
becky-spore
Il secondo caso riguarda il videogioco Spore, ideato dallo stesso Will Wright di The Sims e pubblicato da EA e Valve nel 2008. Il videogioco consente di creare, un po’ come succede con The Sims, dei personaggi personalizzati; nel caso di Spore di tratta di creature un po’ mostruose ma anche molto simpatiche, caratterizzate da una grande varietà di dettagli. Grazie anche al supporto di personaggi come Tim Schafer (co-creatore della serie di Monkey Island), un altro progetto seguito da SpecialEffect e Mondelez International ha potuto essere realizzato: un sistema di scultura controllabile tramite i movimenti degli occhi, utilizzando l’editor di creature di Spore e una stampante 3D.

Ragazzi come Becky, disabile in seguito a una paralisi cerebrale, possono utilizzare il gioco con un rilevatore di movimenti oculari e formare la creatura che preferiscono. Successivamente il mostriciattolo viene inviato a un sistema di stampa in 3D e ne viene realizzato un modello tridimensionale.

In calce all’articolo trovate anche il video con Becky e potrete ammirare la sua felicità nel poter usare Spore per creare miniature personalizzate. Speriamo che, anche grazie a progetti come questi, si faccia sempre più strada la consapevolezza che la disabilità non è necessariamente una limitazione, ma le limitazioni spesso consistono nella mancanza di mezzi adatti.

Fonte: theguardian

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