The Banner Saga

La storia dello sviluppo di The Banner Saga è comune a molti dei titoli di recente uscita. Nato sulle pagine di kickstarter, questo titolo mostrava fin da principio grandi potenzialità, soprattutto grazie al trio che si celava dietro il progetto: quei Thomas, Jorgensen e Watson che avevano lasciato BioWare per lanciarsi nel selvaggio mondo delle produzioni indie. Desiderosi di mettersi alla prova con un prodotto tutto loro, i tre avevano appunto lanciato The Banner Saga su kickstarter, riuscendo a riscuotere in pochi mesi più di 700 mila dollari (a dispetto di un obiettivo di soli 100 mila). La prima fase del loro salto nel vuoto era riuscita, ma nessun progetto può dirsi riuscito se non viene prima approvato dai giocatori.

L’ambientazione è quella delle steppe del nord e ha come protagonisti della storia un gruppo di vichinghi.

Cominciamo col dire che The Banner Saga è un titolo di grande qualità, ogni elemento di gioco è chiaramente fatto con la cura e con l’amore di chi fa una cosa solo ed esclusivamente perché sente il desiderio di farla. Dal punto di vista estetico ha grande personalità: richiama quell’animazione anni ’80 fatta di colori scuri e tratti sporchi, non molto distante dall’imprinting del grande ex-Disney Don Bluth e dallo stile visivo di opere come Le Avventure di Bianca e Bernie. Questo design è inoltre perfettamente in linea con il mood del gioco che racconta la lotta per la sopravvivenza di un tribù vichinga. Il feeling tra soggetto e disegni è tale da trasformare The Banner Saga in un vero e proprio libro interattivo, come già era accaduto in passato per giochi del calibro di Dragon’s Lair. A completare il quadro ci pensano le musiche orchestrali composte da Austin Wintory (già autore della soudtrack di Journey), potenti e drammatiche al punto giusto, riescono a sottolineare in modo puntuale i vari risvolti della trama.
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Il feeling tra soggetto e disegni è tale da trasformare The Banner Saga in un vero e proprio libro interattivo

Come abbiamo anticipato poche righe fa, l’ambientazione è quella delle steppe del nord e ha come protagonisti della storia un gruppo di vichinghi, sfuggiti alla distruzione del loro villaggio a opera dei malvagi Dredge. Questi, assieme ai Varl, sono una due razze che, oltre agli esseri umani, popolano l’universo di The Banner Saga. Confinati a Nord dell’ultima grande guerra, i Dredge stanno tornando alla carica, costringendo gli abitanti delle terre più fredde a scendere a sud in cerca di alleati. All’interno del titolo Stoic, i miti e le leggende ricoprono un ruolo fondamentale perché spiegano molto del sottotesto che è solo accennato all’interno dei lunghi e profondi dialoghi. Veniamo infatti catapultati, come in molti racconti fantasy, nel bel mezzo di una linea narrativa già cominciata; all’interno di un mondo che ha evidentemente un passato oscuro e il cui futuro sembra ancora più buio. Il giocatore segue Rook, il capo villaggio, mentre guida la carovana di superstiti lungo un viaggio di diversi mesi, che li condurrà in direzioni di Grofheim; unico obiettivo, rievocare l’antica alleanza un tempo esistente tra umani e Varl. Durante le circa 12 ore della campagna, il giocatore verrà continuamente posto di fronte a dilemmi morali dilanianti, costretto a fare scelte che mineranno sempre la sopravvivenza del gruppo e, sebbene queste non influiscano in maniera significativa sulla trama principale, contribuiscono a tenere la tensione motiva sempre ad altissimi livelli.

Il vero fiore all’occhiello di The Banner Saga non è però né la trama, epica e drammatica, né il design, ma il sistema di combattimento a turni, che ricorda per la complessità della struttura e la facilità di apprendimento quello di Final Fantasy Tattics. La battaglia viene affrontata in una visuale isometrica e segue una rigida turnazione in cui ciascuna fazione ha a disposizione sempre e solo un unico turno per effettuare la propria mossa.

The Banner Saga sembrerebbe un titolo esente da difetti, ma purtroppo non è così, perché nonostante lo splendido lavoro fatto dai ragazzi di Stoic, presenta in gran parte i problemi tipici di una “prima prova”.

Il calcolo del danno effettuato da un attacco si fa partendo dalle due abilità su cui si basa l’intero sistema di combattimento, Forza e Armatura. Nel momento in cui il giocatore subisce un danno dal nemico, il valore di questo è pari al suo indice di Armatura meno l’indice di Forza del nemico. Un sistema che può sembrare complesso da spiegare a parole, ma che è assolutamente immediato una volta sperimentato in prima persona. Ci sono, così, personaggi con un’abilità Forza molto sviluppata che vengono sconfitti rapidamente poiché, al contrario, dotati di un indice Armatura estremamente basso.
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A questo punto le alternative tattiche davanti a cui è posto il giocatore sono due: o sviluppare i personaggi in modo che questi due valori siano in equilibrio, oppure cercare questo stesso equilibrio non nel singolo personaggio, ma all’interno della propria squadra, creando delle figure specializzate nell’attacco e altre nella difesa. Nulla vieta infine di perseguire entrambe le strade e decidere poi la strategia da adottare in base alle caratteristiche singolo scontro. Arrivati a questo punto, The Banner Saga sembrerebbe un titolo esente da difetti, ma purtroppo non è così, perché nonostante lo splendido lavoro fatto dai ragazzi di Stoic, presenta in gran parte i problemi tipici di una “prima prova”: gli scontri mancano di varietà e le attività da fare durante la campagna sono ridotte all’osso, per non parlare di quelle 12 ore di gioco, veramente troppo poche per un GdR di questo tipo.

In conclusione, The Banner Saga si rivela, come già si era ipotizzato dalla beta, un titolo assolutamente da possedere non solo per gli amanti dei giochi di ruolo fantasy, ma per tutti quei videogiocatori nostalgici in cerca di un gioco dal sapore antico, capace di emozionare come solo le animazioni di un tempo sapevano fare.

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