Come fanno Death Stranding 2 e Elden Ring a essere i migliori di giochi di sempre se non si somigliano neanche un po’?
Tra i titoli migliori in assoluto usciti nel corso degli ultimi anni, da una parte c’è Death Stranding e dall’altra c’è ovviamente Elden Ring. E con il nuovo Death Stranding 2 il maestro Kojima pare aver toccato nuove vette di creatività. Eppure, nonostante questi due titoli siano effettivamente dei capolavori, in realtà sono diversissimi tra loro. E lo sono a un livello molto più profondo di quello che si penserebbe.
Non si tratta solo dell’ambientazione, che chiaramente da una parte è un futuro in cui abbiamo fatto tutti i danni possibili e immaginabili e nell’altro siamo nel fantasy più alto, si tratta di qualcosa che è alla base della stessa esperienza di gioco.
Death Stranding 2 e Elden Ring: lontanissimi eppure perfetti
Non possiamo di certo mettere sullo stesso piano in termini di narrativa e di costruzione dell’esperienza Death Stranding 2 e Elden Ring. Nonostante infatti entrambi questi titoli siano pressoché perfetti, tra di loro le distanze sono evidenti.

Da una parte c’è infatti il mondo di Hideo Kojima, costruito come se fosse la versione interattiva di un kolossal di Hollywood. Dall’altra parte c’è Miyazaki che invece costruisce mondi in cui immergersi, ma che non fanno sconti a nessuno. I fan dell’una o dell’altra esperienza spesso si trovano ai ferri corti.
Eppure, ragionando appena un po’, è chiaro che entrambi i tipi di esperienze possono convivere anche nella stessa raccolta per gli stessi giocatori.
Questo perché è diversa la filosofia che sta alla base dell’esperienza di gioco e che rende per questo straordinari, anche nella distanza che li separa, i due titoli.
Se si pensa al mondo di Elden Ring, Miyazaki ha più volte sottolineato che lo scopo è quello di creare una sfida che sia uguale per tutti, motivo per cui non c’è modo di scegliere la difficoltà con cui si può giocare. Dall’altra parte Kojima invece ha ribadito che il suo scopo è quello di dare a tutti modo di terminare il gioco.
Anche a quelle persone che magari non sono fan dei videogiochi di per sé ma apprezzano una buona storia quando gli viene proposta. E del resto dentro il gioco costruito da Kojima c’è un cast di attori e di attrici che diventano loro malgrado il focus principale.
E non è forse questo quello che succede con i film? Ci si gode la storia, ci si godono le interpretazioni degli attori e non ci si preoccupa di quanto una scena possa essere stata complicata.
Per FromSoftware lo scopo finale è diverso: creare una sfida che i giocatori poi, con il tempo, possono tutti affrontare e superare, ma senza che qualcuno crei per loro un percorso privilegiato. Perché la sfida è l’esperienza. Mentre per Death Stranding 2 la storia è l’esperienza.
Verrebbe da dire che, semplicemente, siamo di fronte a due studi di sviluppo che sono gestiti con un’idea chiara di quello che deve essere il risultato finale, senza andare dietro alle correnti e senza cercare in tutti i modi di piacere a un pubblico artificiosamente vasto.
E il risultato, paradossalmente, è che questi giochi piacciono effettivamente a un pubblico enorme. Un po’ come la questione del produrre videogiochi utilizzando l’intelligenza artificiale: alla fine è la reale qualità che viene premiata, perché, per quanto vogliamo essere sprovveduti, come giocatori se una cosa è fatta bene ce ne accorgiamo anche noi.