Videogiochi e social media utilizzati dai bambini: quali sono i rischi?

Alcune settimane fa un gruppo di docenti di una scuola inglese ha inviato una lettera ai genitori. La missiva ha attirato l’attenzione in modo particolare e si è fatta notare anche dai media, che ne hanno subito analizzato i contenuti: si parla di negligenza, si concentra sull’utilizzo di videogiochi e social media da parte dei più piccoli e fa riferimento ai pericoli della mancanza di controllo da parte dei genitori.

La lettera appare molto schietta, e fra le altre frasi troviamo: “Call of Duty, Grand Theft Auto, Dogs of War e altri giochi simili sono tutti inappropriati per i bambini, che non dovrebbero potervi accedere. I bambini non dovrebbero nemmeno avere account Facebook o interagire con programmi di messaggistica come Whatsapp, che non sono pensati per la loro età. I bambini dovrebbero utilizzare solo videogiochi e social network che siano identificati come idonei alla loro età“.

Sì, sulla lettera c’è proprio scritto “Dogs of War”… forse volevano dire Gods of War ma non importa, era piuttosto ovvio che chi ha scritto non avesse particolare familiarità con l’argomento. In ogni caso questa volta, nonostante si faccia anche riferimento alla possiblità di contattare i Servizi Sociali (in caso un genitore non rispetti i consigli sul PEGI o nel caso consenta a un bambino l’accesso incontrollato ai social network), non possiamo dirci totalmente contrari: questa lettera rappresenta la necessità di sensibilizzare l’intera famiglia sull’importanza (in negativo e in positivo) dei videogiochi e dei social media nello sviluppo.
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Troppo spesso i genitori evitano di controllare in modo attivo le attività dei bambini, forse sottovalutando le loro capacità di comprendere ciò che vedono, forse per mancanza di voglia, forse per mancanza di informazione. Troppo spesso (e in Italia se ne sta parlando moltissimo, negli ultimi mesi) i genitori ignorano le reali esigenze dei figli e non si preoccupano di controllare quale tipo di videogioco viene acquistato, oscillando successivamente da una totale demonizzazione (alimentata da servizi televisivi e articoli di giornale) a un atteggiamento quasi di sfida, come per dimostrare che far giocare un bambino piccolo a GTA V non è una cosa grave e che nessun gioco rappresenta una minaccia. Inutile specificare come nessuna delle due posizioni possa considerarsi equilibrata.

In ogni caso nella lettera (a differenza da come è avvenuto in Italia) si sottolinea l’importanza di responsabilizzare i genitori e le famiglie, e non si parla della necessità di provvedimenti legali da parte del Governo. La componente fondamentale è infatti far capire alle famiglie che il videogioco, come moltissimi altri stimoli e parti della vita di un bambino, può essere una risorsa preziosa ma, per essere tale, deve necessariamente essere regolamentata e controllata (esattamente come si fa con i film o con l’alimentazione).

Il videogioco, lo abbiamo ripetuto fino allo sfinimento, non è un qualcosa di dedicato necessariamente ai più piccoli; molti si fanno ingannare dalla parola “gioco” e collegano questo a un giocattolo per bambini… non c’è nulla di più sbagliato! L’industria videoludica è del tutto paragonabile a quella cinematografica: i contenuti sono di TUTTI i tipi e per tutte le età, esattamente come in TV al pomeriggio possiamo trovare Peppa Pig, ma anche True Detective. Ogni prodotto ha dei destinatari che si possono dividere, oltre che per gusti personali, per fascia di età… e non è necessario rendere illegale la vendita di videogiochi considerati violenti ai minori di 18 anni quando esiste già un chiaro ed esplicito consiglio con indicazioni sui contenuti (il famoso PEGI) come spiegato anche da AESVI.
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Di recente si è anche parlato dell’importanza dell’inserimento dei videogiochi nella realtà familiare, che dovrebbe essere accogliente e non demonizzante e che non dovrebbe escludere a priori il potenziale positivo. Come sottolineato da Nintendo durante la presentazione di Mario Party 10, i videogame non devono necessariamente essere educativi e spesso possono rappresentare un momento di aggregazione per la famiglia, favorendo la socialità e il legame fra genitori e figli – ovviamente sempre con una grande attenzione alla tipologia di contenuti.

Tornando alla lettera di Nantwich sicuramente non è da sottovalutare l’opinione dei docenti di scuola, dato che passano diverse ore con i bambini… per questo abbiamo cercato di capire se ci sia fondamento nelle affermazioni della comunicazione, che dichiara: “L’accesso a questi giochi O ad alcuni social network può aumentare l’incidenza di comportamenti sessuali anticipati rispetto alla norma E rende i bambini più vulnerabili alle violenze“. Queste affermazioni, decisamente terrificanti per qualsiasi genitore, sembrerebbero tristemente avere del fondamento… ma veramente i social network sono tanto pericolosi?

Per quanto riguarda i videogiochi, gli studi si sprecano e la necessità di mantenere sempre alta l’attenzione è evidente. Una delle ultime ricerche, che troviamo particolarmente interessante, parla di come sia provato che ad incidere sui comportamenti negativi sia più che altro il tempo passato a giocare e solo secondariamente i contenuti. Anche i bambini e gli adolescenti sono in grado di distinguere la realtà dalla finzione – e per questo non è ovvio che vengano influenzati direttamente e che emulino il contenuto di un videogame – ma questo è vero solo dopo una certà età e sicuramente non controllare nè i contenuti nè il tempo di gioco può essere decisamente deleterio per lo sviluppo, anche sociale, di un bambino e di un adolescente.

Per quanto riguarda i social network invece non sembrano esistere prove di quanto dichiarato nella comunicazione dei docenti di Nantwich alle famiglie. Tutto è molto soggettivo e dipende ovviamente dall’utilizzo che se ne fa: Facebook, ad esempio, è un vero pozzo di informazioni, video, immagini e messaggi di ogni tipo e non è assolutamente ovvio che possa rappresentare una influenza negativa… è anche vero però che bisognerebbe sempre preservare i più giovani da stimoli che potrebbero non essere processati nel modo migliore, controllando costantemente (ma non morbosamente) la loro esperienza con l’incredibile risorsa che è Internet.

Fonte: theguardian

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